A GLORIA
DELLA CONTRADA DELLA TARTUCA
IN SIENA
LA CUI CHIESA E SAGRESTIA
FURON GIA’ L’ORTO E LA CASETTA
OVE LUNGAMENTE ABITO’
LA VENERABILE SUOR CATERINA VANNINI
Monaca convertita e terziaria domenicana
Caterina Vannini nacque nella seconda metà del 1500 da Pasquino Vannini e Silea Panciatichi nobile di Pistoia.
Non c’è certezza sulla data di nascita, esistono due “fedi di battesimo” riconducibili a Caterina: una datata 30 maggio 1558 (Celso Cittadini, archivista della Tesoreria di Siena trasmette, in detta data, ai Medici una fede di nascita di Caterina Pasquina figlia di Pasquino di Mone) e l’altra datata 20 dicembre 1562 (fede di battesimo che nel processo di beatificazione indica Caterina figlia di Pasquino di Biagio fiorentino).
Di carattere ribelle e passionale durante la prima adolescenza, rimasta orfana del padre in tenera età, si allontanò da casa, attratta dalla vita frivola e dalle cose futili. Visse un breve periodo da “cortigiana” nella Roma corrotta e raffinata del tempo; spinta da conoscenti e con l’ambiguo consenso della madre stessa ebbe un comportamento che le portò il nome di “Thais senese” (dalla prostituta protagonista della commedia di Terenzio “Eunuco”, amante del soldato Trasone).
Durante il soggiorno a Roma sarebbero avvenuti tre eventi che le arrecarono turbamenti interiori:
– una sera, prima di sedersi per la cena preparata per alcuni vani signori, Caterina era nella sua cameretta quando vide l’immagine di S. Maria Maddalena, protettrice delle cortigiane, illuminarsi di un meraviglioso splendore e di una straordinaria lucentezza. La coscienza fu turbata e allontanatasi dalla cena con gli amici, Caterina sentì un gran vuoto nel cuore e scoppiò in un dirotto di pianto. Da quella sera visse come smarrita.
– un’altra volta, mentre si sentiva agitata da mestizia e scoraggiamento fu trascinata quasi da un furioso vento nei fondi della casa, ove non era stata mai: si senti spinta per due volte a gettarsi in un profondo pozzo ed altrettante da mano invisibile respinta. Secondo Caterina era stata la mano della Beata Vergine Maria a cui da bambina recitava il Rosario. Tornata in camera cadde sul letto svenuta.
– la terza volta, dopo aver ripreso a fare qualche capatina in Chiesa, un’elemosina elargita a tre poveri fanciulli le insinuò il desiderio di redimersi. I bambini accettarono l’elemosina, la ringraziarono, la fissarono con occhi limpidi e luminosi di innocenza. Lei, che avrebbe potuto essere compagna loro di giochi, avvampò di confusione.
La carriera brillante di cortigiana proseguì fino a quando il Pontefice Gregorio XIII nel 1574, prima del giubileo straordinario del 1575, promosse misure di repressione della prostituzione, del vagabondaggio e del gioco
Caterina, forse dodicenne, fu rinchiusa in una cella piccola, umida e buia; lei per superbia non volle cercare aiuti per uscirne ed in prigione si buscò la bronchite cronica che la tormentò poi per tutta la vita. Fu, quindi, posta dinanzi a tre condizioni: unirsi in matrimonio con uno dei suoi amanti o di entrare nel monastero delle Malmaritate oppure in quello delle Convertite in Roma. Nonostante il carcere duro, che l’aveva ridotta in condizioni pietose, rifiutò sdegnosamente la proposta e così, nel 1575, il Papa, dietro l’interessamento per lei da parte di tanti signori romani, la liberò e la fece bandire da Roma. Con il foglio di via obbligatorio Caterina raggiunse Siena quasi morta e si accasò in Via delle Murella, attuale Via Tommaso Pendola.
Ristabilitasi, Caterina con il cospicuo ricavato (denari e preziosi profitto della sua “attività” romana) ricominciò con le passate compagnie fino alla quarta domenica di Avvento, quando, nella chiesa di Sant’Agostino, nell’udire una predica sulla conversione di S. Maddalena si sentì dentro una voce che le parlava. Tornata a casa si tolse le collane e davanti al Crocifisso si dette con quelle “un’ora di disciplina” invocando il perdono dei suoi peccati. Ebbe una forte crisi spirituale, si tagliò i capelli, vendette tutti i suoi preziosi e distribuì il ricavato ai poveri.
Non ancora quattordicenne, precocissima nel vizio, fu precoce nella penitenza e nella santità. Nello spazio di tre anni aveva conosciute tutte le gioie della vita galante.
Dopo aver ricevuto nella chiesa dei SS.MM. Quirico e Giuditta l’abito di terziaria domenicana, nel 1584, fu ammessa, dopo vari rifiuti, al Convento delle Convertite di Santa Maria delle Grazie che sorgeva in Via del Pignattello, dove oggi c’è la sede dell’Istituto del S. Cuore di Gesù.
Per redimersi volle disperatamente abbassarsi, umiliarsi nella penitenza, vivere in una cella oscura, tentando con tutti i mezzi di oscurare quel suo fascino sensuale più forte di ogni bellezza, che era stato per molti uomini e per lei causa di rovina e di peccati. Poco dopo la conversione rimase inferma gravemente e divenne storpia. Le carni si enfiarono sfigurate dall’idropisia.
La gran Penitente Senese “visse siccome fiore di viola mammola”, suo dolce simbolo: il piccolo fiorellino che, voltato verso terra, manda il suo odore al Cielo quale insegnamento all’uomo, che nella sua umiltà, mandi in alto l’odore delle preghiere.
Dopo poco l’ingresso nel Convento, Caterina chiese e ottenne di essere rinchiusa in una cella che misurava di lunghezza e di larghezza circa otto palmi, con una feritoia che si apriva nella Chiesa; qui vi rimase quattro anni in perfetto silenzio. Inasprì le sue penitenze: tre fichi secchi e tre noci con pochissimo pane ed acqua nei giorni migliori, negli altri casi si cibava di nulla. L’Arcivescovo di Siena, Ascanio Piccolomini, considerata troppo crudele la sua “prigionia” obbligò Caterina ad uscirne, ma lei non ebbe pace finché non ottenne un’altra cella simile alla prima dove trascorse gli ultimi 16 anni di vita. Qui poteva udir messa, confessarsi, comunicarsi; poteva conversare con chi voleva visitarla per loro edificazione. I devoti salivano su di un pulpito per appressarsi alla grata della sua cella. Le elemosine che riceveva le serbava per vestir di bianco ed ornar di fiori alcune povere ragazze per mandarle in processione per la festa di S. Caterina da Siena.
Stava continuamente scalza fino agli ultimi anni, quando per obbedienza calzò zoccoli di legno; ha durato fino alla morte senza lavarsi i piedi né altra parte del corpo eccetto che le mani che si lavava ogni mattina. Al suo corpo non concedeva che brevissimi riposi, nel lettuccio nascondeva pezzetti di legno per tormentarsi; poi non volle più giacere su di un letto, sedeva di notte sopra una “sediola piccola e bassa” senza mai distendere la persona. Storpia, non poteva più muoversi. Praticò una vita di digiuni e penitenze, sperimentando visioni e rapimenti mistici.
Intorno al 1600 entrò in contatto con il cardinale Federico Borromeo che si era ammalato a Bagni di San Casciano, poi andato a Montepulciano si era aggravato e, quasi in pericolo di vita, fu portato a Siena; così il pittore Francesco Vanni, suo amico, lo raccomandò alle preghiere di Suor Caterina per farlo guarire. Nei racconti il Cardinale risulta guarito nel settembre 1601. Il cardinale incontrò Caterina due volte: l’11 marzo 1604, quando si recò al Monastero delle Convertite dove stette a colloquio con la suora e lì udì messa, e il 27 maggio 1605, di ritorno da Roma, dove si era recato per il conclave per l’elezione del Papa Paolo V, vi si trattenne a lungo, fino alle 23, a ragionare con Suor Caterina e la mattina dopo ritornò presto per dir Messa. Per i favori avuti con le preghiere di lei si unì nel suo cuore con devozione ed ebbe inizio un rapporto di profonda amicizia spirituale con una corrispondenza epistolare che durò fino alla morte di Caterina.
La monaca, la “piccinina” come Caterina amava chiamarsi, descriveva con amore spirituale le sue visioni mistiche, usava toni intensamente affettivi e passionali del linguaggio amoroso: per la mistica senese l’amore per Borromeo e l’amore divino erano in realtà un amore solo.
Sono giunte fino a noi le lettere della Vannini (conservate nella Biblioteca Ambrosiana), ma non quelle del Borromeo, poiché egli stesso le aveva chiesto di distruggere tutto ciò che di volta in volta le scriveva. Caterina era in grado di leggere e scrivere, avendo imparato a farlo da una prostituta di nome Nerea e avendo poi perfezionato queste abilità nel monastero delle Convertite.
Turbolenti furono i rapporti di Caterina con i direttori spirituali ai quali era stata affidata. Padre Giorgio Giunti riferisce, ad esempio, di una donna inquieta, presa talvolta da “una bizzetta spirituale fina fina”. E probabilmente queste notazioni furono alla base delle difficoltà incontrate dal processo di canonizzazione, come un altro motivo saranno state le indebite amplificazione attribuite al rapporto con il cardinale Borromeo.
Il Cardinale Borromeo dette incarico a Francesco Vanni di ritrarre Caterina, però la “Serva di Dio” non voleva che fosse realizzato quanto richiesto dal Cardinale, e così il Vanni la ritrasse mentre era in estasi, il giorno mentre le altre monache erano a desinare (nel Museo Sacro della Contrada della Tartuca è esposta una copia del quadro originale conservato nella Pinacoteca Nazionale di Siena).
Nonostante l’abisso culturale e sociale che li separava, si stabilì tra loro un rapporto intenso, che solo la morte di Caterina avrebbe interrotto.
Caterina, dopo circa ventidue anni trascorsi nel monastero, morì serenamente nel pomeriggio del 30 luglio 1606, alle ore 17, all’età di quarantaquattro anni circa. L’idropisia che l’aveva sfigurata lasciò il posto ad un volto risplendente; alla vista di tutti si sprigionarono dal suo corpo “gran quantità di faville in forma di piccole lunette”.
Nello stesso anno va in stampa a Siena, Tipografia Luca Bonetti, un libricino “libello devoto” che Caterina dettò sul modo di recitare il Rosario con il titolo “Modo per eccitare e ammaestrare li semplici e poco esperti a recitare con qualche frutto il SS. Rosario della Gloriosissima Vergine Maria, Madre di Dio, Rifugio dei Peccatori, dettato dalla Madre Suor Caterina Vannini da Siena, monaca Convertita”. Una copia fu inviata al cardinale Borromeo ed è ora conservata alla Biblioteca Ambrosiana. In seguito, nel 1903, è stato ristampato presso la Tipografia Calasanziana a Siena con il titolo abbreviato.
Nel 1618 venne stampata, con la firma del cardinale Borromeo, una biografia della “piccinina”. In realtà, come si evince dal manoscritto conservato alla Biblioteca Ambrosiana, a comporre l’opera era stato il suo confessore, il gesuita Alessandro Quadrio, sulla base di appunti presi quando la donna era ancora in vita: “I tre libri della Vita di Suor Caterina monaca convertita” (Milano, 1618) dove Caterina viene descritta anche nelle fattezze fisiche: «Ella per donna fu di statura grande; e svelta della persona; di membri dilicati, e di color bianco e vivace. Il viso non era grande, e il sembiante fu giovenile ancora nell’età matura; la fronte monda, e i capelli perfettamente negri; le ciglia e gli occhi parimenti neri; i quali costumò tenere per lo più bassi. Il naso non fu profilato, ma leggermente depresso. Ebbe piccola bocca; né le labbra erano sottili, né molto rubiconde. Nelle guance appariva sempre alquanto di rossore; ed alcuni nei sparsi nel viso si vedevano».
Dopo la morte di Caterina un giorno il Cardinale, mentre cavalcava nelle vicinanze di Milano, cadde improvvisamente col cavallo in una fossa d’acqua stagnante; vistosi perduto invocò il soccorso di Caterina e riuscì a salvarsi. Dopo questo episodio fece eseguire da Francesco Vanni un altro ritratto di Caterina, dipinto ora conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Il Processo di beatificazione iniziato nel 1693, ripreso nel 1701 e nel 1741, non superò l’esame presso la Congregazione dei Riti e il suo processo fu definitivamente sepolto senza ottenere la beatificazione, riconoscendole quindi solo il titolo “serva di Dio” e quindi il titolo di “Venerabile”.
Nel 1813 i resti mortali di Suor Caterina Vannini furono trasportati dal soppresso Convento delle Monache Convertite nella Chiesa del Convento di S. Maria Maddalena in Via Pier Andrea Mattioli, e a ricordo fu posta una lapide con un’epigrafe oggi conservata nel Museo Sacro della Contrada della Tartuca:
HIC IACET CORPUS
S. CATERINE VANNINI
MONIALIS
PENITENTIS
QUE OBIST DE
A.M.DC.VI
Nel giugno 1984 la Tartuca, con il consenso di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Mario Ismaele Castellano, Arcivescovo di Siena, effettuò la traslazione delle spoglie terrene di Caterina dalla Chiesa S. Maria Maddalena ai Tufi all’oratorio della Contrada.
Nella sagrestia della chiesa della Tartuca una vetrina per molti anni ha custodito le vesti, il velo, le grucce della povera penitente, ora esposte nel Museo Sacro.
Secondo studi recenti i portamenti e le visioni di Caterina avrebbero fornito, per il tramite di Federico Borromeo, un modello alla pittura di Caravaggio, Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1611).
Il quotidiano Repubblica il 2 dicembre 2014 pubblicò la scoperta di due prestigiosi storici dell’arte, Mina Gregori e Bert Treffers, che sostenevano di aver rintracciato in una collezione privata europea la vera “Maria Maddalena in estasi” di Caravaggio (in giro per il mondo ne esistono almeno otto esemplari), aggiungendo che quel ritratto inquietante, quella donna sconvolta tra estasi e sofferenza poteva essere Caterina Vannini.
La Maddalena fu realizzata nell’estate del 1606, quando Il Caravaggio era in un momento cruciale per la sua vita: stava fuggendo da Roma dopo aver ucciso un uomo e scelse di dipingere la santa del pentimento per antonomasia.
Dietro la Maddalena di Caravaggio, c’è lei: la Maddalena seduta richiamerebbe l’abitudine di Caterina a star «su una bassa e piccola seggiola», la donna ritratta con il ventre gonfio soffre di idropisia, Caterina Vannini era considerata una seconda Maddalena.
Già altri studiosi, tra cui Maurizio Calvesi, avevano accostato la Vannini a Caravaggio per un’altra opera: “Morte della Vergine”, esposta oggi al Museo del Louvre, dove la Madonna è ritratta con il ventre enfiato, riprodurrebbe così l’idropisia della Vannini.
Opere di Caterina Vannini
Modo per eccitare e ammaestrare li semplici e poco esperti a recitar con qualche frutto il SS. Rosario dettato dalla madre Suor Caterina da Siena, monaca Convertita, Siena, Luca Bonetti, 1606. Ristampato presso la Tipografia Calasanziana, Siena 1903, con titolo abbreviato.
Saba, Federico Borromeo e i mistici del suo tempo con la vita e la corrispondenza inedita di Caterina Vannini da Siena, Firenze, Olschki 1933.
Fonti:
F. Borromeo, I tre libri della Vita di Suor Caterina monaca convertita, Milano 1618.
A. Lusini, P. Misciatelli, La Diana Rassegna d’arte e vita senese, 1928
P. Misciattelli, Caterina Vannini, Milano, Treves 1932
D.U. Meiattini, Santi Senesi, Poggibonsi 1974
R. Barzamti, A. Sofri, Dialoghi di una convertita. Vita e lettere della Venerabile Caterina Vannini Senese, Quaderni di saggistica, Contrada della Tartuca, n.3 – Edizioni di Barbablù, Siena 1986.
“Bullettino Senese di Storia Patria”: Anno III (1932 – X), pp. 65-81; Cecchini G. Anno IV (XL della Collezione) 1933-XII Fascicolo IV, pp. 314-346.
Niccoli, O., “Il mio ritratto che vedo di continovo”: immagini e visioni tra Cinque e Seicento. In G. Dall’Olio, A. Malena, P. Scaramella (Cur.), La fede degli italiani. Per Adriano Prosperi (pp. 307-313). Edizioni della Normale. (2011).
Dettagli Quotidiano – la repubblica 14/01/2015 “La vera storia di Caterina prostituta e santa” di Adriano Sofri